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La Nota

del prof. Cristiano Mazzanti

I pesci hanno due branchi per respirare nell’acqua ed i terrestri hanno due polmoni per vivere d’aria : l’elemento più invisibile e più vitale.
Soffocare significa togliere il respiro, cioè strozzare una libertà naturale, indispensabile, collegata direttamente con la vita.
L’uomo, parafrasando la filosofia classica, è un “animale pneumatico” cioè vola per l’etere con i polmoni che sono le sue ali.
Ed il respiro poi si trasforma in pensiero, in slancio vitale, in avventura culturale attraverso la parola, la comunicazione, le dinamiche antropologiche.
Queste ovvie considerazioni vengono riprese per sottolineare il tanto ovvio soffocamento di quella esplosione di libertà rappresentata dalla stagione delle “radio private” o “radio libere”.
A questo proposito potrebbe essere azzardato anche un giudizio collegato con l’epica e l’epoca del ’68 : se quegli anni di contestazione globale quasi planetaria furono anche la nascita di nuove forme di comunicazione, di espressioni, di “rivoluzione culturale” (non in senso maoista) gli anni settanta attraverso la pirotecnica crescita delle radio private con i nuovi cavalieri delle masse che potevano avvalorarsi di un mezzo delle grandi potenzialità.
A questo proposito non è fuori luogo la differenza fra radio e televisione nel campo massmediale. La radio invita a riflettere, la televisione stordisce.
Quasi la stessa differenza fra il libro e la pellicola. Ed in modo particolare in quegli anni anche i dibattiti più accesi e più appassionati, sullo sfondo degli anni di piombo, purtroppo, erano qualcosa di vivo, spontaneo, creativo, lontano dai salotti ammaestrati o beceri di molte trasmissioni televisive compresi i dibattiti politici.
Lo studio e la rievocazione fatta da Paolo Lunghi testimonia il grande valore partecipativo e volontaristico del basso di questa “primavera acustica” troppo presto infilata nelle serre dell’inverno.
Infatti, come risulta dall’analisi longitudinale dei personaggi “attivisti radiofonici” erano persone comuni del mondo del lavoro e dello studio che in modo artigianale si tuffavano nelle onde delle comunicazione radiofonica arricchendo tutti con i loro progetti, le loro idee le loro proposte. Peccato che tutto questo sia stato riassorbito dal Grande Fratello dei controlli orwelliani della comunicazione e dell’espressione. Viene in mente la barzelletta di quando la radio era accesa con la lucina verde magica degli apparecchi del dopoguerra: si diceva che dentro c’era il “nanino”.
Quel nanino era forse una coscienza di libertà.

 

 

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